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Salute

Palù (Aifa): «Il Covid non è più una pandemia, meno letale dell’influenza»

Il virologo presidente di Aifa, l’Agenzia italiana del farmaco: «Non ce ne libereremo mai. Continuerà ad essere presente con picchi nella stagione invernale assieme agli altri virus respiratori»

 Sono quattro i principali connotati di una pandemia. È una malattia che si diffonde rapidamente a livello globale, è spinta da un nuovo agente contagioso, sorprende un’umanità scoperta dal punto di vista immunitario e infine non trova né farmaci né misure di prevenzione capaci di contrastarla. Requisiti, a parte la presenza planetaria, di cui è sprovvisto oggi il Covid-19 , a quasi tre anni dal suo esordio ufficiale tra di noi.

Professor Giorgio Palù, virologo, presidente di Aifa, l’agenzia italiana del farmaco in via di riforma, la pandemia non c’è più?
«La risposta dovrebbe essere affermativa. Smettiamo di utilizzare, da un punto di vista virologico e semantico, questo termine. Significa elevare una malattia infettiva ad emblema di urgenza sociale costante a dispetto di altre patologie più impattanti».

Se non è pandemia, cos’è?
«Non è neppure un’endemia. Parliamo di un virus che in questa fase mantiene una circolazione diffusa nella popolazione di vaste aree del globo come quello di Dengue e Hiv. Non ce ne libereremo mai. Continuerà ad essere presente con picchi nella stagione invernale assieme agli altri virus respiratori».

Ogni giorno però sono decine i morti.
«La sua letalità su stima globale è ora dello 0,045% rispetto all’1-2% di quando ha esordito nel nostro Paese. Quindi meno letale dell’influenza che questa settimana, assieme ad altre infezioni respiratorie, ha un’incidenza 5 volte superiore al Covid-19, colpisce 16 adulti e 56-60 bambini sotto i 5 anni ogni mille abitanti. Su 100 casi, circa la metà sono dovuti al ceppo influenzale di tipo A, il 10% a Sars Cov 2 e il 30-40% ad altri virus stagionali».

Sminuisce un rischio contro il quale finora, ci avete raccomandato, lei compreso, di non abbassare la guardia. Ha cambiato idea col cambio di governo?
«No, sono cambiati virus e ospiti, noi cioè, per larga parte immunizzati naturalmente o grazie ai vaccini. Nella prima fase l’interesse della collettività doveva prevalere su quello individuale ed è stato giusto mettere l’obbligo di vaccinazione per certe categorie. Oggi bisogna commisurare i diritti individuali con quelli della collettività. Nessuna nuova variante è all’orizzonte e Omicron è stabilmente duratura da oltre un anno».

Anche la vaccinazione cade nell’oblio?
«Al contrario. Continua ad essere fondamentale per proteggere le categorie a rischio, se non ci fosse stata non saremmo qui a parlarne. È dimostrato che il vaccino se non difende in modo completo dall’infezione, è uno scudo all’80-90% contro la malattia grave. Gli over 60 e i fragili devono fare la quarta dose, gli immunodepressi anche la quinta. Ricordo che ci sono ancora 6-7 milioni di italiani non vaccinati».

Mascherina sì o no?
«Sì certamente in luoghi affollati, mezzi pubblici, ambienti di ricovero e cura. Non solo per esigenze di sanità pubblica, ma soprattutto per assolvere a un dovere sociale e etico. Proteggere i più deboli».

Perché dopo 2 anni di latitanza l’influenza è tornata?
«È una questione di interferenza. Il Sars Cov 2 e i ceppi influenzali hanno in comune l’acido sialico come sito di primo attacco alla cellula. Quando il Sars Cov 2 circolava molto, ha avuto la meglio e ha tolto spazio ai concorrenti. Inoltre, ci siamo a lungo protetti con lockdown e mascherine. I bambini sotto i cinque anni stanno sperimentando l’influenza per la prima volta».

FONTE Margherita De Bac corriere.it

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CORRIERE.ITcorriere.it
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