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MiscellaneaTecnologia

Perché Sheryl Sandberg ha lasciato Meta?

La numero 2 di Mark Zuckerberg, con un post su Facebook, ha annunciato l’1 giugno le sue dimissioni dal ruolo di Chief operating officer. Ma si è trattato di una vera sorpresa? Quali sono le ragioni di questa scelta? E cosa potrebbe succedere, ora?

 l giorno dopo, come sempre, è quello delle domande. Mercoledì 1 giugno, con un post su Facebook, Sheryl Sandberg ha annunciato che lascerà il suo ruolo a Meta.

Un ruolo che – è bene ricordarlo – è pressoché impossibile sovrastimare. Nei 14 anni che separano il suo ingresso a Menlo Park dalla sua uscita, a novembre, Sandberg è stata ben più di una Chief operating officer: braccio destro del fondatore, Mark Zuckerberg, è stata lei a creare il modello di business che ha permesso a Facebook prima, e a Meta ora, di diventare uno dei più grandi colossi tecnologici del pianeta. Un modello di business che consiste, primariamente, nella raccolta dei dati degli utenti, nella loro profilazione sempre più accurata, e nella capacità di garantire agli investitori pubblicitari la certezza di poter far arrivare un messaggio a un target precisissimo. Ecco: quel modello di business è responsabile, oggi, del 97 per cento degli introiti della società.

Ma perché, allora, Sandberg ha deciso di lasciare Meta? E che cosa indica, questo addio, per l’azienda fondata da Zuckerberg?

La risposta ufficiale la dà la stessa Sandberg: in una intervista a Fortune spiega di aver «deciso» durante il fine settimana e di essere stata motivata dall’imminente decisione della Corte Suprema sull’aborto. «Il tipo di lavoro non lascia molto spazio ad altre cose della vita. Questo è un momento importante per le donne, e per me per fare di più nella filantropia e con la mia fondazione», ha detto, prima di aggiungere che «mi piace pensare che la mia carriera e quella di altre leader abbia ispirato le donne: mi auguro che le mie figlie crescano in un mondo in cui ce ne sono molte di più, al vertice».

Ma queste ragioni potrebbero aver agito da «catalizzatore» di una situazione che si era ormai profondamente modificata. E composta da almeno quattro elementi, difficili da ignorare per capire il contesto di questa scelta.

1. La parola mancante
Il post di Sandberg è composto da 8.467 caratteri – 1.532 parole in tutto. Ne manca una, notevole: metaverso. Un’assenza curiosa, se si considera che è proprio lì che, a dire del suo fondatore, si concentra il futuro della società (tanto che Zuckerberg ha addirittura cambiato il nome dell’azienda che ha creato).

Sandberg ha parlato a lungo, nel suo post, del suo arrivo a Facebook, del suo rapporto con Zuckerberg, delle sfide affrontate e vinte, della convinzione che Meta continuerà a svolgere un ruolo positivo per la società: ma non è chiaro quanto fosse convinta della nuova direzione indicata dal fondatore di Meta, né se ci sia un percorso chiaro per rendere profittevole quella che, al momento, sembra una sfida non solo complicata, ma estremamente costosa (nell’ultimo trimestre, la perdita netta per Reality Labs, «casa» del progetto metaverso, ha sfiorato i 3 miliardi di dollari: un quinto della liquidità dell’azienda, nota il Financial Times).

Sandberg ha ricordato anche come una delle tre promesse che Zuckerberg le aveva fatto – e che «ha mantenuto fino alla fine» – fosse quella di poter stare «seduti vicini»: ma il Wall Street Journal ha notato come «ultimamente abbiamo visto parecchie immagini di meeting nel metaverso con Zuckerberg seduto accanto al suo Capo della tecnologia, Andrew Bosworth. E l’avatar di Sandberg, a quel tavolo, non c’è mai stato».

2. Un cambio di paradigma
Quando Sandberg è entrata a Facebook, l’azienda aveva 4 anni, entrate per 272 milioni di dollari, perdite per 56 e poche centinaia di assunti.

Lo scorso anno, le entrate sono state di 118 miliardi di dollari, i profitti di 39 miliardi, gli assunti sono diventati 77.800, e il numero di utenti che usano i prodotti dell’azienda è salito a quasi 3 miliardi.

Tutto questo è stato reso possibile — come dicevamo — dalla pubblicità.

Ma quel mondo – in qualche modo – sta per cambiare: meglio, lo sta già facendo, e rapidamente, come testimonia il fatto che le azioni dell’azienda hanno perso, dall’inizio dell’anno, oltre il 40 per cento del loro valore.

Il «problema», per Meta, è duplice. Da un lato, i legislatori — in primis l’Ue con il Digital Services Act — si preparano a limitare le possibilità di utilizzo dei dati per profilare gli utenti.

Dall’altro, i colossi del web provano ad anticiparli, creando strumenti più rispettosi della privacy ma in grado di soddisfare gli inserzionisti.

Apple ha cambiato le regole della raccolta dei dati sul suo sistema operativo, «bruciando» decine di miliardi di dollari proprio in casa Meta: e dalla sua ha il fatto che tutto ciò non tocca il suo core business, che non si basa sulla pubblicità. Google sta lavorando all’eliminazione dei cookie di terze parti (gli elementi che danno informazioni sulla nostra navigazione) dal browser Chrome.

E la stessa Meta sta per cambiare la sua privacy policy, promettendo (quantomeno per Facebook, Messenger, Instagram, con la notevole eccezione di Whatsapp) di «non raccogliere, categorizzare né utilizzare i dati degli utenti in modo nuovo»: il tutto mentre altri concorrenti (come TikTok) diventano sempre più ingombranti.

Insomma: il campo di forze sta cambiando. E la stessa Wall Street prevede, per Meta, una crescita di ricavi dalla pubblicità «solo» del 6 per cento, quest’anno, contro una media del +44 per cento nei 10 anni passati. Se il modello a cui Sandberg ha legato il suo impegno sta radicalmente cambiando, e in direzioni che non riuscivano a convincerla, la COO potrebbe aver immaginato che fosse giunto, per lei, il momento di lasciare.

3 Il «fallout» degli scandali
«Il mio ruolo a Meta non è stato tra i più gestibili che si possano immaginare», ha detto a Bloomberg Sandberg. Un messaggio preciso, con almeno un paio di declinazioni.

La prima è legata a una sfera — quella personale — cui la stessa manager ha fatto riferimento nel suo post: Sandberg ha annunciato, per l’estate, il suo matrimonio con Tom Bernthal, incontrato dopo la morte improvvisa del secondo marito, Dave Goldberg; il desiderio di concentrarsi sul ruolo di madre di una famiglia «allargata» che conterà 5 figli; e quello di dedicarsi di più alla sua fondazione e al suo lavoro filantropico, «che è più importante per me di quanto non lo sia mai stato dato il momento critico che stiamo vivendo, per le donne».

Ma la seconda ha a che fare con quanto Sandberg ha fatto, in questi anni. All’inizio della loro avventura, mentre Zuckerberg definiva come «muoviti in fretta, rompi cose» la sua filosofia imprenditoriale, la Coo era definita «l’adulta nella stanza»: la manager esperta, abile, credibile, capace di garantire credibilità a un’azienda dal futuro ancora tutto da scrivere, fuori della Silicon Valley.

Sandberg aveva rapporti con manager, politici – e con l’opinione pubblica. E proprio su questa linea si è creata la «grande frattura» che ha caratterizzato gli anni di Sandberg a Meta.

Dal suo arrivo, e fino al 2015, Sandberg ha di fatto dato forma alla fase di maggior espansione, e di maggior entusiasmo, dell’azienda.

Dal 2015 – anno della morte improvvisa del secondo marito — tutto è cambiato: il suo rientro in azienda, dopo una pausa, è coinciso con l’elezione di Trump, e l’inizio di una ininterrotta catena di scandali e critiche a Facebook. Da Cambridge Analytica ai Facebook Files dello scorso anno, la gestione delle cause antitrust e quella della privacy degli utenti, l’aggressività di un modello di business costruito su profilazione e viralità, l’incapacità di trovare un equilibrio definitivo e convincente tra libertà di espressione e necessità di moderazione dei contenuti hanno rappresentato fianchi sempre più scoperti: e Sandberg è stata, per anni, al centro di una scena rovente.

Nel futuro di Sandberg, secondo molti osservatori, potrebbero esserci un ruolo di vertice in un’altra grande azienda — o anche la politica. Ma prima di ripartire, qualunque sia la direzione, per Sandberg era necessario ipotizzare un periodo di «stacco», per allontanare la sua immagine da quella, ormai tutt’altro che immacolata, dell’azienda che ha contribuito a fare grande.

4. Un ruolo in calo
Nel suo ruolo, Sandberg ha quotidianamente a che fare con cifre, dati, numeri. Non poteva sfuggirgliene uno: quello relativo al numero di dipendenti a suo diretto riporto. Il Wall Street Journal, lo scorso anno, aveva mostrato come la percentuale di dipendenti sotto la diretta responsabilità di Sandberg era in continua riduzione, mentre altri manager — e soprattutto il Chief growth officer, Javier Olivan, che assumerà anche il ruolo di Coo – vedevano il loro potere espandersi.

Certo, le responsabilità di Sandberg rimanevano enormi. Ma come scrivono due croniste del New York Times , Sheera Frenkel e Cecilia Kang, in Facebook. L’inchiesta finale (Einaudi 2021), «per molti dei massimi dirigenti dell’azienda la sensazione ormai è che non ci siano più un numero uno e un numero due, ma un numero uno e molti altri».

La prima stella in ascesa è quella di Olivan, appunto: spagnolo, 44 anni, da 15 in azienda, «mente» dell’acquisizione di Whatsapp, il suo dominio coprirà la pubblicità, i prodotti business, gli analytics, il marketing, l’infrastruttura, la crescita, analytics, marketing.

FONTE Davide Casati e Martina Pennisi corriere.it

Fonte di notizie
corriere.it
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