Per arginare i rischi che comporta il cambiamento climatico è ormai chiaro che serve uno sforzo congiunto da parte di tutti gli stati, a cominciare naturalmente da quelli che provocano la percentuale maggiore del consumo delle energie fossili, Cina e Stati Uniti. Esistono un’agenda 2030 e un’agenda 2050, approvate da tutti gli stati, che segnano le tappe di questo percorso, per il quale entro quest’ultima data l’intero pianeta dovrà essere climaticamente neutro. Ma tali agende non sono vincolanti e la loro attuazione ristagna.
La guerra in corso le ha ulteriormente rallentate. Vi è un’area della Terra nella quale si potrebbe avviare da subito una reazione efficace. Si tratta dell’Europa. Essa rappresenta oggi appena il 7 per cento della popolazione mondiale, ma una sua politica di accelerazione della conversione energetica coniugata con un grande piano di investimento nelle regioni meno sviluppate del pianeta, a cominciare dall’Africa, potrebbe indurre anche le altre potenze ad agire. I paesi poveri esitano a rinunciare al carbone e al petrolio perché necessitano dello sviluppo e perché imputano ai paesi più ricchi la maggiore responsabilità della deriva attuale. E le diseguaglianze esterne vanno combattute non solo perché ingiuste ma perché anche fonte di mancata crescita. Gli strumenti fiscali ed economici esistono, sono stati bene esposti e specificati da numerosi studi attendibili. Ma occorre un intervento a livello globale, per il quale l’Unione europea potrebbe dare l’avvio e svolgere un ruolo di stimolo forse decisivo. A una condizione però: che l’Unione europea agisca come tale, con le risorse di un bilancio comune accresciuto, con un piano per l’Africa, attraverso l’Unione africana, dell’ordine di alcune centinaia di miliardi in un decennio, probabilmente anche meno, reperibili con misure di fiscalità europea sul carbonio e sulle transazioni finanziarie, con un modesto indebitamento comune gestito sul bilancio dell’Unione. Va aggiunto che ciò non solo costituirebbe un valido argine alle immigrazioni di massa, ma procurerebbe alla stessa Europa, nel tempo, milioni di nuovi posti di lavoro. Lo stesso vale per la difesa e per la sicurezza comune, necessarie all’Europa come è ormai a tutti chiaro.
Un nuovo ordine multipolare è indispensabile, anche tra regimi diversi, persino in presenza di una guerra, certamente per raggiungere la pace ma anche per la salvezza del pianeta.