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Economia

La super inflazione è davvero finita? I primi segnali di raffreddamento dei prezzi

Arrivano i primi segni che l’inflazione in Europa inizia forse a stabilizzarsi e potrebbe avviare, nei prossimi mesi, una discesa graduale. Ma se è una svolta, è la svolta lenta di un transatlantico pesante e complesso com’è l’economia da 11.600 miliardi di fatturato dell’area euro. Gli ultimi dati preliminari, quelli relativi a novembre (qui, i dati Istat sull’Italia), sono diversi da quelli di una lunga serie di mesi precedenti in un dettaglio fondamentale. Per la prima volta dal giugno del 2021 segnano una discesa: il tasso d’inflazione in area euro cala dal 10,6% di ottobre al 10% di questo mese.

La stabilizzazione della “core inflation”

Se è una sorpresa, era prevedibile dopo i segnali dei dati di variazione dei prezzi al consumo arrivati dalla Germania (giù di 0,3% a 11,3%), Spagna (giù di 0,7% a 6,6%) e Olanda (giù di 5,6% a 11,2%). Dopo lungo tempo, si stabilizza in novembre anche la cosiddetta inflazione di fondo (“core inflation”, per gli addetti ai lavori) che stima tutti i prezzi meno quelli più soggetti a bruschi cambiamenti: energia, alimenti, alcolici e tabacco. Anche la “core inflation”, cioè l’inflazione di tutto quel che non è gas, petrolio e paniere della spesa, scende in novembre da 5,02% a 4,95% (quando si eliminano gli arrotondamenti). Quanto all’inflazione da energia, crolla di oltre sei punti da 41,5% di ottobre al 34,9% di novembre.

Gli effetti sugli alimenti

Cosa sta succedendo? Semplicemente, si iniziano a notare nelle tendenze dei prezzi gli effetti di due forze visibili all’orizzonte da mesi e collegate fra loro. Il primo è l’impatto delle materie prime sugli indici. Dalle derrate alimentari, al gas, all’elettricità, quasi tutto è ancora carissimo. Solo che molti prodotti iniziano a non essere più cari di un anno fa, dunque la variazione dei prezzi su base annuale – cioè l’inflazione – inizia a non essere più al rialzo. Per esempio l’indice mondiale dei prezzi del cibo della Fao, l’agenzia delle Nazioni Unite sulla produzione agricola, resta ancora più di un terzo sopra ai suoi livelli del 2019 o del 2020. Dunque la pressione sui budget di chi fa la spesa, soprattutto nei ceti medio bassi e ancora di più nei Paesi poveri, resta elevata. Ma quell’indice oggi per la prima volta da anni non è più alto di un anno fa. Dunque l’impatto per l’inflazione è zero (e addirittura in Europa il costo delle derrate scende).

Gas e petrolio

Così anche il prezzo del gas naturale resta alto in maniera allarmante, tanto da rendere chiaro che la crisi dell’energia non è affatto alle spalle. Ma oggi viaggia a 142 per megawattora (in rialzo nell’ultimo mese), mentre a dicembre del 2021 era arrivato sopra 180 euro dopo che Vladimir Putin aveva ordinato i primi razionamenti all’Europa per preparare il terreno alla guerra. Anche qui la variazione di prezzo sarà presto negativa e con essa anche l’impatto sull’inflazione, benché la pressione sui budget delle famiglie e delle imprese resti insopportabile con prezzi pari a sette volte la norma abituale fino all’inizio del 2021. Stessa dinamica, anche più evidente, sul petrolio: questo mese c’è stata una discesa di circa il 15% e alle attuali quotazioni la variazione sull’ottobre del 2021 è pari a zero, anche se il pieno di benzina continua a costare carissimo.

Il rischio Cina

La seconda forza che sta frenando l’inflazione è naturalmente legata alla prima, perché da mesi l’economia europea e internazionale sta decelerando. Di qui in particolare la relativa debolezza del prezzo del greggio e dei beni alimentari, due dei grandi fattori che hanno alimentato la fiammata dei prezzi dell’ultimo anno e mezzo. Tutto questo significa che l’allarme inflazione è alle spalle e le banche centrali possono smettere di alzare i tassi d’interesse? Molto probabilmente, no. In primo luogo perché tanti altri fattori possono infiammare i prezzi nei prossimi mesi: non tutte le imprese hanno già imposto gli aumenti necessari a recuperare i loro incrementi di costo; inoltre, l’allargarsi delle proteste o nuovi lockdown in Cina possono di nuovo portare alla chiusura delle fabbriche o dei porti più importanti del mondo, bloccando ancora una volta le catene industriali di fornitura e facendo salire i listini di prodotti scarsi.

La banca centrale

C’è poi la prudenza dei banchieri centrali. Sono già stati sorpresi al rialzo dall’inflazione nel 2021 e nella prima metà del 2022. L’avevano sottovalutata e ora non molleranno la presa prima che quella non abbia realmente abbassato la testa, avvicinandosi al loro obiettivo del 2%. Ma per questo servirà molto tempo. È verosimile che la Banca centrale europea e probabilmente anche la Federal Reserve da ora in avanti alzino i tassi e restringano il loro bilancio in maniera meno rapida e aggressiva. Saranno leggermente più graduali. Ma non si fermeranno. Non per il momento.

FONTE Federico Fubini corriere.it

 

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CORRIERE.IT
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