All’Università del Bosforo a Istanbul, ateneo liberale tra i più facoltosi del Paese e fucina della classe dirigente turca, da un mese circa gli studenti vanno soltanto per manifestare. Le lezioni si fanno online per via dell’epidemia da Coronavirus ma ogni giorno decine di studenti e professori si ritrovano sul prato dell’università per protestare contro il nuovo rettore – Melih Bulu – e il governo di Recep Erdogan che lo ha imposto anziché limitarsi a confermare la scelta del corpo docenti, come accadeva in passato.
La scorsa settimana almeno quattro studenti della facoltà di Arte sono stati arrestati per un’opera d’arte ritenuta offensiva. Lunedì sono seguiti altri 150 arresti negli scontri con la polizia e circa una trentina di studenti sono ancora detenuti. Ma il rettore pro-Erdogan ha dichiarato di non volersi dimettere. «L’università sembra essere sotto occupazione – racconta a Open Ahmet Ersoy, docente all’Università del Bosforo -. Ci sono addirittura i cecchini sui tetti e nei giorni scorsi il campus si è riempito di poliziotti in borghese».
Il rettore e l’arte «pro-LGBT di quattro deviati»
Le proteste nascono dalla procedura poco democratica con cui è stato nominato Bulu. Anche in altre università il procedimento con cui sono nominati i rettori è diventato estremamente politicizzato e non a caso nei giorni scorsi le manifestazioni e le proteste si sono estese anche ad altri atenei, come alla Middle East Technical University di Ankara, la capitale. Ma per molti la nomina di Melih Bulu, uomo di affari vicino al partito di Erdogan, di cui è stato anche candidato in passato, viene vissuta come un affronto all’università baluardo della cultura liberale.
«Bulu non è assolutamente all’altezza – dichiara Ersoy -. Non potrebbe mai insegnare nella nostra università, a nessun livello. È davvero umiliante per noi e credo che la scelta sia stata fatta anche con questo intento». Oltre alla poca esperienza amministrativa e scientifica in ambito accademico, su Bulu pesano accuse di plagio che lui ha respinto in una recente apparizione televisiva, dicendo che si era dimenticato di inserire virgolettati in alcuni scritti.
«Ad ogni modo, anche se fosse stato un premio Nobel, le proteste ci sarebbero state lo stesso», continua Ersoy. Ad esacerbare lo scontro è stato l’arresto degli studenti per un’opera d’arte che ritraeva un luogo sacro per i musulmani, ovvero la Kaba, edificio al centro della Grande Moschea della Mecca, con i simboli arcobaleno e un’immagine dello Shahmaran, una popolare creatura mitica mediorientale, metà donna e metà serpente. Alcuni studenti del gruppo di studi islamici dell’università hanno segnalato l’episodio che è presto diventato un caso politico. Anche se in Turchia l’omosessualità è legale, il ministro dell’Interno Suleyman Soylu ha definito i quattro studenti «deviati» e ha predisposto gli arresti. Il nuovo rettore invece ha chiuso la società LGBTQ+ dell’università.
Per Bulu «gli studenti hanno assunto un atteggiamento che limita la libertà degli altri ed è stato necessario prendere delle misure». «Normalmente avremmo risolto il problema internamente, parlando con gli studenti – spiega Ersoy -. Non è stato possibile anche perché la figura che solitamente si occupa di questi problema all’interno dell’università si è dimessa». Così hanno fatto una decina di altri colleghi che fanno parte dell’amministrazione dell’università. «L’episodio è stato usato come un diversivo – continua Ersoy -, per spostare la discussione dalla nomina anti-democratica del rettore alla tutela dei valori islamici nella società turca», una battaglia culturale che Erdogan non ha fatto altro che alimentare dal golpe fallito del 2016.
La purga degli oppositori passa anche dalle università
La stretta nei confronti del mondo universitario era iniziata ancora prima del golpe. Gli atenei del Paese sono stati “purgati” e migliaia di accademici sono stati licenziati negli scorsi anni. Altri sono fuggiti all’estero. Gradualmente si è creato un clima di intimidazione che soffoca la ricerca e la libertà di espressione. «Quando vieni cacciato ti viene impedito di insegnare in qualsiasi struttura educativa. Non puoi neppure trovar lavoro in una scuola primaria – racconta Ersoy -. Ci sono stati momenti in passato in cui ho temuto che, per le nostre posizioni politiche, una mattina sarebbe entrata in casa la polizia e avrebbero portato via mia moglie e me, traumatizzando mia figlia».
«Come noi, gli studenti non chiedono un cambio di governo, non chiedono a Erdogan di dimettersi – continua il professore -. In queste settimane non ci sono stati saccheggi. Le manifestazioni sono estremamente pacifiche. Neppure l’erba dei prati dell’università è stata rovinata». Nella mente di Erdogan sembra pesare il ricordo di Gezi Park, le proteste del 2013 per la difesa del parco di piazza Taksim a Istanbul che sfociarono in manifestazioni oceaniche contro il suo governo a livello nazionale. «In Turchia non esiste nulla di LGBTQ+», ha dichiarato Erdogan a un raduno di partito. E poi, rivolgendosi agli studenti, ha posto una domanda che contiene in sé una risposta. «Voi che cercate di occupare l’ufficio del rettore siete studenti o terroristi?».