La vittoria di Jannik Sinner agli Australian Open era preventivabile? Per il coach Darren Cahill sì. Lo aveva anticipato al Corriere della Sera in una intervista a Gaia Piccardi. Che aveva anche indicato un punto chiave nello straordinario 2023 dell’altoatesino che nessuno avrebbe immaginato: una vittoria al secondo turno dell’Atp di Rotterdam. Torneo, guarda caso, che sarà il prossimo impegno sportivo del campione di Melbourne.
La sciatina di Santo Stefano sulle piste larghe di Plan de Corones è finita nei titoli del Tg1 della sera. Qualcosa è cambiato nella percezione che il mondo ha di Jannik Sinner se persino un allenamento prenatalizio con Carlos Alcaraz su un campetto spagnolo periferico ha richiesto le porte chiuse. La Davis ha sdoganato il fenomeno Sinner in Italia e, poco prima, la finale al Master battendo il n.1 Djokovic nel girone l’aveva mandato in giro per il pianeta. Per capire le ragioni di un successo che va ben oltre età (22 anni), classifica (n.4 come Adriano Panatta nel ‘76) e risultati (10 titoli vinti, 4 quest’anno), e per leggere le carte al barone rosso che il 2 gennaio decollerà verso l’Australia, abbiamo chiesto una mano all’eccellente talent che lo segue dal luglio 2022, Darren Cahill, il coach aussie d’esperienza che ha affiancato Simone Vagnozzi portando ordine e fosforo nel tennis di Jannik. Ad maiora.
Darren perché la scelta, all’inizio del 2024, di debuttare all’Australian Open, facendo precedere lo Slam solo da un’esibizione?
«La Coppa Davis ha fatto la differenza: 5 match in più a Malaga, la stagione agonistica chiusa il 26 novembre. Con gioia, ma più in là di quanto pensassimo. Abbiamo valutato di non stressare Jannik con un torneo prima di Melbourne per proteggere la sua mente e il suo corpo. È la strategia che, nei cinque anni che l’ho allenato, ho usato con Agassi. Così ha più margine di recupero, e lo sci di questi giorni in Alto Adige, con moderazione, fa parte integrante del benessere del ragazzo. Ripartire fresco sarà determinante».
Quest’anno Jannik ha giocato 79 match, vincendone 64, meno solo di Medvedev (66) e Alcaraz (65). L’anno prossimo giocherà di più, di meno, uguale?
«Nel 2024 vogliamo gli stessi problemi da risolvere: giocare tanto per vincere tanto, stabilizzandosi al top. Sarà ai quattro Slam, ai 9 Master 1000, alla Davis e all’Olimpiade. Non c’è molto margine di manovra nella programmazione, magari cambieranno i dettagli: giocherà Madrid e non Barcellona. Gli Atp 250? Non è escluso: sono utili per gestire la pressione da favorito. Ogni torneo è una lezione da cui imparare, e Jannik è una spugna».
Di chi è stata l’idea dei Giochi di Parigi?
«Di Jannik, e noi l’abbiamo assecondato volentieri. Rappresentare il proprio Paese ogni quattro anni, all’Olimpiade, facendo parte di una squadra nazionale: un’esperienza speciale. Si porterà via un’avventura umana importante, di grande crescita, come è successo in Davis».
Saltare il girone di Davis è servito a costruirsi un fine stagione portentoso.
«Una decisione ponderata, usata per portare Jannik al picco a Vienna, Torino e Malaga. Rifaremo scelte simili, nel suo interesse: ha 22 anni, non vogliamo romperlo. Il mio ruolo di membro più esperto nel team è proprio quello di consigliarlo al meglio».
Qual è stata la partita della svolta, quest’anno, Darren?
«Dal mio punto di vista, una che non direste mai: la vittoria su Tsitsipas al secondo turno di Rotterdam. Ci aveva perso due anni di fila all’Australian Open e a Roma nel 2022. Lì Jannik ha imparato ad essere un tennista più intelligente, da quel momento è decollata la stagione: semi a Indian Wells, finale a Miami. Il break mentale ce l’ha avuto a Toronto, dove non ha sconfitto top players ma ha saputo diventare favorito strada facendo, assorbendo una pressione crescente. A Pechino con Medvedev, mai battuto prima, ha fatto un altro passo avanti: è uscito dalla comfort zone, non dimentichiamo che ci aveva perso 6 volte di fila… Quello è stato il suo capolavoro, più di Djokovic a Torino e Malaga. Con Medvedev è una partita a scacchi, devi diventare acqua e adattarti al russo. Senza quella consapevolezza, non sarebbero arrivati i successi sul numero uno del mondo».
Qual è, tra le tante, la statistica del 2023 più notevole di Jannik?
«Le percentuali in crescita della prima e della seconda palla, certo, le palle break salvate e trasformate. Ma semplifichiamo: e allora dico il suo record con i top 5. Dimostra che appartiene a quel livello. Perderà ancora, ovviamente, ma è con questa fiducia che si conquistano i titoli Slam».
L’obiettivo della nuova stagione, adesso che Sinner è n.4 del mondo, cambia?
«Abbiamo sempre avuto obiettivi a lunga scadenza, quindi non cambia nulla. Vogliamo portarlo a giocare le Atp Finals da titolare, come quest’anno. Possibilmente migliorandolo. La cosa bella con Jannik è che non c’è bisogno di motivarlo: dopo una sconfitta è sempre il primo a chiedere di tornare in campo a lavorare».
L’arco di crescita costante è sintomo di lavoro fatto bene?
«Procediamo per fasi, il servizio è un buon esempio: il ritorno alla posizione foot up era già in programma, poi Jannik è uscito presto a Parigi e ci ha detto: non perdiamo tempo, cambiamo subito».
L’ossessione con cui Sinner dice di voler conoscere come funziona la sua testa non è banale.
«Insegue i miglioramenti: mentali, fisici, tattici. È lui che spinge il team. È un ragazzo ben educato, con i piedi per terra, tratta tutti con gentilezza, dal volontario al direttore del torneo. Lo vedo evolversi sotto i miei occhi, ed è un autentico piacere».
Ma qualche sciocchezza da 22enne la dice? La fa?
«Come tutti! Gli piace guidare le auto, a volte troppo veloce. Scherza, non vuole perdere nemmeno a burraco. Non l’ho mai visto gioioso come in Davis. Ricordate quando si è messo a ridere con Sonego dopo aver preso una pallata in testa nel doppio? Ecco, quello è il vero Jannik».
È pronto per affrontare tre set su cinque negli Slam?
«È pronto a vincere un Major, già in Australia. Il fisico di Jannik è una priorità per il team: la base c’era già grazie al lavoro con Piatti, metterà su più massa procedendo per piccoli passi. Vanno protetti legamenti, giunture, ossa. Ora si fida molto di più del suo corpo, ha meno dolori, si conosce meglio».
Qual è la magia di Sinner, secondo lei, Darren?
«Lo stile italiano, vincente nel mondo. È facile amare Jannik perché la gente si riconosce in lui, nel suo sorriso gentile, nel suo tennis potente ma non impossibile. Piace la sua vulnerabilità, l’idea di accessibilità che trasmette. È lo stesso kid che si divertiva sulla neve, ora lo fa su un campo. Sinner è l’Italia: tutti adoriamo il vostro Paese».